Vi racconto il mio Covid.

Il 21 ottobre effettuo il tampone, privatamente, sentivo un senso di spossatezza e avvertivo dolori in tutto il corpo.
La risposta è arrivata in giornata, “positivo”.
“Va bene”, mi dico, “piano piano risolvo.”
… Ma i dolori continuano ad aumentare, compare la febbre che man mano diventa altissima, perdo olfatto e gusto, chiamo il medico di famiglia e inizio un percorso terapeutico con Tachipirina, Cortisone, Eparina, Antibiotici di vario tipo, Mucolitici, vitaminici e chi più ne ha più ne metta.
Ne passano di giorni, non ricordo più neanche quanti, ricordo solo le ultime cinque notti, durante le quali sto veramente male, tanto che una di queste al termine di un episodio di Suburra, più ascoltato che visto, la febbre era talmente alta da trascinarmi in un delirio nel quale mi sono ritrovato nel letto, circondato dai “Casamonica”, privo di forze e senza nemmeno il coraggio di aprire gli occhi, e voce per chiamare qualcuno e chiedere aiuto.
Credetemi una esperienza terribile, da dimenticare.
Alla terza di queste notti di dolori e deliri, ormai esausto, ho deciso di chiamare 118, che sì, è arrivato alle 10 del mattino, dopo appena sei ore e, solo dopo che mia sorella, presa dalla disperazione, si è rivolta a i Carabinieri.
All’arrivo del medico dell’ambulanza mi sento dire che non sono ancora abbastanza grave per essere accettato in ospedale.
“Ok”, mi dico, “andiamo avanti con la cura domiciliare”.
Trascorre una altra giornata di sofferenza e dolori atroci, febbre altissima che non scende neanche con i farmaci, per non parlare della notte.
Allo strenuo delle forze richiamo il 118, un “Déjà vu”, stessa storia, mi sento ripetere:” manca poco, se peggiori un altro po’ ti ricoveriamo “.
Allora chiamo la guardia medica, mi sento morire, mi prescrivono un’altra dose di Cortisone.
Mi fido e la prendo, cado in un sonno profondo e…, finalmente mi sveglio sfebbrato, con pochi dolori e, con sorpresa e paura dico a me stesso “Vuo ver ca sto buon!”, “vuoi vedere che sono gurarito!”.
Mi alzo, vado in bagno, sembra vada meglio, provo a sedermi anche a tavola per mangiare un brodino, non arrio neanche alla metà del piatto che sono costretto a tornare a letto, la febbre si rialza e i dolori ritornano ancora più forti di prima, vi lascio immaginare…..
Non ricordo neanche la notte trascorsa, la mattina ho richiamato il 118, per puro caso (forse è stata la mia salvezza) mi risponde un “ciceroniano” (abitante del quartiere dove ho vissuto da quando sono nato), che come sente il mio nome, si attiva immediatamente e mi manda un ambulanza che, addirittura da Poggiomarino, arriva in soli 10 minuti.
Altro “Déjà vu”, la storia si ripete, non possono trasportarmi in ospedale perché sto ancora bene secondo i nuovi limiti sui parametri di saturazione per il ricovero indicati dalle autorità sanitarie per la carenza posti negli ospedali.
Mia moglie da gran signora qual è, nascondendo il terrore che stava vivendo, sola con me in quelle condizioni, con mio figlio che non riusciva a capire come mai stavo così male, per giunta anche lei positiva al Covid, con grande calma, cercava di raccontare ciò che era accaduto nelle ultime due settimane.
Vengo preso da una rabbia incontrollata, sembrava che nessuno volesse capire o quantomeno percepire, che ero allo strenuo, scusandomi con lei, ma con modi bruttissimi le ho intimato di andarsene.
A quel punto il medico sembra aver preso coscienza della mia situazione e decide di portarmi in ospedale, mi dice “aspetteremo fuori “, lo guardo e con un filo di voce rispondo: “ok andiamo”.
Abito in via Virgilio a meno di 100 metri dall’Ospedale, l’autista dell’ambulanza fa il giro per Pozzano, credetemi volevo morire, mi sentivo morire.
Finalmente arriviamo, siamo i secondi, “che c…” mi dico” tra poco sarà il mio turno”.
Dalle 9,00 resto in attesa in ambulanza fino alle 17,00.
Finalmente entro in un reparto di preintensiva, allestito d’urgenza, uno stanzone con 7 posti ancora vuoti, con monitor fili tubi ecc ecc
Tempo 20 minuti si riempie, tre anziani, due uomini di mezza età, io e un ragazzo di 30 anni.
L’equipe dell’ospedale ha fatto un miracolo in sole 3/4 ore è riuscita ad allestire un reparto.
Fanno immediatamente prelievi a tutti, tamponi, ossigenoterapia , il primo soccorso insomma ,dopo le prime terapie anche se il reparto non è del tutto organizzato, non ci sono cartelle, fogli volanti ecc ecc., è dotato di tre infermiere, giovanissime, che hanno combattuto come leonesse contro uno tzunami.
La mattina successiva arriva “Piedone l’Africano” il primario che esordisce dicendo al personale del nuovo turno, già in polemica sul cosa mi tocca e cosa no, ” statm a sint ca cumman io ca s’ fa che ca’ dic io, si coccurn nun c’ sta buon la’ sta a port io tengo la voce alta non sto gridando!” (“Statemi a sentire qui sono io che dirigo e sii fa quello che dico io, se a qualcuno non va bene, li cèè la porta…”), lo sposerei se potessi.
In un ora attrezza tutti i pazienti con ventilatori e terapie, da i monitor si abbassano gli allarmi, che tutta la notte avevano suonato a più non posso.
Subito dopo la terapia inizio a sentirmi un po’ meglio e mi guado intorno, penso di essere fortunato, … trascorrono soli dieci minuti e il paziente della 4 ci lascia, …Cazzo!
Non sono sicuro….e mo? a chi tocca?
Fisso i monitor di tutti, controllo che con si tirino le maschere, gli infermieri sono più veloci di me, c’è Piedone.
Il ragazzo di fianco a me, per fortuna può essere dimesso non è abbastanza grave per rimanere in semintensiva, servono posti.




“Quindi sono grave anche io?” penso, accedo il cellulare, sento le mie sorelle che sono fuori ai cancelli, mia moglie e…… penso….,penso, “me fann salutà, e peggio ancora “o criatur!!!”….
Nè avete idea di quanto è bastardo questo virus, pensi star bene, al punto di pensare “riman vac a casa”, arrivando a pensare che si è fatto tutto quel casino ma in realtà non avevo nulla, “Che figur e’ merd!” sarebbe.
Poi ti tocca sulla spalla, pare voglia prenderti in giro, ti dice:”cu cù sette! Sto ancor quà!!!!
In venti minuti ti fa diventare un “tic-toc”, il “pulcino pio”.
Di nuovo, subito terapia. Piano piano ti riprendi, in giornata altre indagini – è arrivato ai polmoni –“Tranquilli, è forte!”
E’ lì che inizi a pensare…, pensare a come combattere “stu bastard!”.
Mi dico: “pensa in positivo, pensa alle cose che vorresti fare con le persone che ti amano”.
Arrivo a chiedermi: “E’ stata colpa mia? lo meritavo? Booo?”.
Ricomincio il monitoraggio, ne arriva un altro, subito terapia intensiva, fuori alla porta si dà la mano col nuovo, non si muove, non si e mai mosso ???
Arriva la sera, ho finalmente trovato un sistema per combattere “stu bastard”, mi rifugio nei ricordi, avverto la presenza di mamma e papa mamma accanto al mio letto che vegliano su di me tutta la notte. Mi ritorna in mente la reazione di papà quando sette che mi ero rotto la gamba e…preso dalla rabbia, buttava la tavola dalla finestra, proprio non concepiva che il figlio potesse farsi male, la sera alle 10,10 “tutti a letto!”, un uomo che per dieci anni ha indossato le mie scarpe dismesse, forse per sentirmi sempre addosso.
Il ricordo ancora vivo di mamma mentre si lavava i capelli “rint’o’ luvatur”, il suo parrucchiere, quanto era bella mamma… non aveva bisogno di trucco o altro era bella di suo.
I ricordi delle avventure vissute con papà, rivissute come se fossero dei video: le giornate trascorse a pescare, quelle di caccia, quelli dei vari delle navi nel cantiere dove lavorava, ho rivisto il suo sguardo fiero e soddisfatto allo scendere della nave in mare.
Il tutto con un sottofondo musicale speciale “il tema di Lara”, la colonna sonora del dott. Zivago, tanto amata da mamma e….. “l’agg vincut io!” per adesso, sono le 4,00 credo, a domani.

Sono le sei del mattino, è tornata…, ricominciano i brividi… cavolo ” c’ cap ten!”.
Misuro la febbre, 39… “Dottore datemi qualcosa!”.
Li vedo agitati, non sanno cosa altro darmi…. “è mo’?”
La febbre si ferma, ma i dolori…, i dolori infiammano tutto il mio corpo, mi fanno male anche i capelli.
Alle 9,00 arriva Piedone, mi guarda e mi dice: “Dobbiamo fermare questa febbre”.
Il suo sguardo, i suoi occhi sembrano dirmi: “nun’t proccupà! Mo mo’ vec io!”.
Alle 12,00 la febbre inizia a risalire 38, 38,5, 39…. Arriva lui, mi riguarda con lo stesso sguardo di poche ore prima e… tirando su il respiro, dice all’infermiere: “fagli una …hhr kkkhgfgt, lenta…, lenta”.
Credetemi, non so cosa mi abbiano dato, ma tempo 40 minuti sentivo come se mi uscisse ghiaccio dalla fronte, fino a ritrovarmi completamente bagnato, dalla testa ai piedi.
Mi aiutano a cambiarmi, sfinito…, esanime…, mi arrotolo sulla barella cercando di conforto.
E sì, sono ancora sulla barella, dopo due giorni, fa niente.
Le ora passano senza che me ne renda conto, mi sento un po’ meglio, è sera, sono le 20,00, devo misurare la febbre…, “tutto a posto, ho 37,3”.
Penso: “Bene! piano piano risolvo”.
Ma…,il fiato…, lo sento corto, affanno…, non riesco a respirare bene.
Si ricomincia! Per verificare l’emogas, mi fanno prelievi arteriosi dai polsi, che nel frattempo si sono anneriti per i precedenti prelievi, è tutto ancora più difficile!
Guardo l’infermiera, cerca il punto giusto…, in tutto quel nero non riesce a vedere, trovare, la vena. Inizia ad agitarsi…, è stanca anche lei, sta sostenendo turni di lavoro assurdi… Dalla tuta bianca che indossa, riesco quasi a vedere il cuore che batterle a mille…!
Penso “o final’ io stò suben e chest sta muren pa paur e’ m’ fa’ mal?”.
Dopo qualche prova, va bene! riesce a farmi il prelievo.
Proprio difronte a me c’è l’apparecchiatura nella quale inserisce il sangue, dopo soli due secondi esce il risultato”.
E… io che pensavo fosse la macchinetta del caffe.
Col cavolo! Quell’apparecchio avverte che non sta arrivando ossigeno agli organi.
Immediatamente mi mettono sotto ventilazione forzata con maschera, casco, faccio fatica a capire cosa succede intorno a me.
Penso solo: “e ch’ nuttat sta p’ schiarà!”.
Mi guardo intorno e…, ad un certo punto, Piedone alza gli occhi dal computer, mi guarda…, sta organizzando le tac per il giorno dopo, tira un sospiro e tuona, tra i bip dei macchiari, “METTETE OSTRIFATE NELLA BARELLA CONTENITIVA E PORTATELO A FARE LA TAC. SUBITO!!!”.
Con uno sguardo, parlandomi con gli occhi, mi dice: “Stai tranquillo! Stam fatican!”.
Mi infilano nella barella contenitiva, come spiegarla…, non lo so! E’ come un incubatrice dove mettono i neonati, avete presente? Lascio a voi la fantasia di immaginare cosa si prova chiuso lì dentro.
Mi portano in sala Tac, 10 minuti…, ho finito! Mi riportano su.
Al mio arrivo, Piedone mi dice: “ti cambio posto”.
Si è liberato un letto, che cosa bella…, posso finalmente stendere le gambe.
Cambia lo scenario, tutto diverso, sempre un camerone ultramoderno con 6/8 posti ma facce nuove, meglio dire maschere nuove.
C’è una ragazza di 20 anni, uno uomo di 43 al mio fianco che mi saluta con la mano ma, non so dire perché, …non lo voglio salutare, …non voglio conoscere nessuno.
Arriva il referto della tac, me ne accorgo perché nello stanzone oltre alle postazioni letto, ci sono le postazioni di controllo dei dottori e infermieri, è tutto aperto così da avere tutto sotto controllo, …se sei lucido però, anche tu capisci quando si confrontano.
“Polmonite bilaterale acuta”, con la febbre che sale a 40 “so cazzi!”.
Sono le 23,00, Piedone, dopo credo 12 ore di turno se ne va.
Bene! Inizio ad organizzare i pensieri.
La situazione non sta bene, ma vediamo…
Verso le 02,00 ricomincia: “Ci sei? …Sono tornato! … Ci vogliamo divertire un po’?…
Riprendono i brividi freddo,…
Aspetto per misurare la febbre, mi decido, la misuro 38,8.
“Marooo!!!!!” Chiamo, l’infermiere chiama il dottore, ho da poco fatto terapia.
“Cosa gli diamo?”, li sento agitarsi e parlare tra loro.
La febbre sale…, la sento…, la misuro 40…
Mi agito, inizio a dare i numeri…, ad urlare agli infermieri e al medico di turno: “Chiamate il dottore! (chiamate Piedone!), lo sa lui cosa darmi! Guardate nella cartella! …Ieri mi ha dato qualcosa che ha funzionato!” Gridando con quel poco di fiato che i polmoni ancora mi consentivano.
Li guardo controllare la cartella, c’è chi scappa, chi arriva…, ad un certo punto si decidono… mi iniettano quel cocktail di farmaci, quella “bomba”.
Grazie a Dio va bene, la reggo, la febbre cala ma,…il respiro…, no il respiro no… affanno sempre di più.
Inizio a pensare: “mo’ questi mi intubano e…, da quello che so, per farlo mi devono anestetizzare…, e poi??? mo’ mando un sms alle mie sorelle…, per qualche pensiero…, qualche raccomandazione per Nanni…”
Mi fermo, mi dico: “che cazzo faccio? sono le 6,00…, le faccio morire!… non lo so, per adesso penso cosa scrivere, poi decido…, appena capisco cosa vogliono fare…”
“Mi sto accapputtan! Ma cum cazz e succies???? Se fin a 7 juorn’ fa stev pensan meglio nir o grigio o’ motorino nuovo, e mo’…. a chi aggia raccomandà a mio figlio per il futuro.”
La febbre è scesa, con la maschera mi sembra di respirare bene, tutto si sta tranquillizzando, alle 6,30 scrivo a Michela, alle 7,00 è già fuori al cancello dell’ospedale…,il solo saperla li aspettando non so cosa mi fa sentire protetto.
Il tempo sta passando, mi sto tranquillizzando, almeno credo.
Gli infermieri e dottori presi da tutti, vedo che prestano meno attenzioni a me, la cosa mi fa enormemente piacere lascio andare cosi.
Per quello che mi passa per la mente ci vorrebbe un libro:
Non sento la febbre, bene bene…, ho sete…, ma come si beve con questa cosa sul viso??? Boooo!!! Sono escluso dai pasti, devo restare immobile…,
Arriva Piedone, mi guarda e mi dice “E’ si fat nu’ casin stanot!!! Mo’ ti ha sta’ ferm senza t’movr!!! devi recuperare!”.
Credetemi non ho mosso un muscolo per otto ore…, immobile…, quasi pietrificato.
La maschera mi tirava in viso, mi spingeva il mento, ma ho resistito.
La giornata e passata così, immobile…, tra mille pensieri.
Avevo la sensazione che un po’ alla volta stavo recuperando.
Ricomincio a guardarmi intorno…, la ragazzina sta bene, toglie anche la maschera, anche quello alla mia destra riesce a mangiare due volte al giorno.
I miei occhi si fermano difronte a me…
…c’è Carolina…, mi guarda fisso…, mi stende la mano alla ricerca di aiuto…, di un contatto le faccio una foto, forse per non dimenticare tutto questo se Dio vorrà che io ne esca, forse perché guardandola riuscirò a capire cosa mi vuole dire…,Boo? Non lo so”.
Si e fatta sera per me tutto è tranquillo, intorno non è nemmeno immaginabile.
Ho sete! Come si beve? Non voglio togliere la maschera, Piedone mi ha detto di stare fermo. Penso con la cannuccia, la infilo sotto la maschera, vediamo…
Chiamo infermiere, non ci sono cannucce, si ingegna, mi taglia un pezzo di tubicino da flebo e risolve. Non potete immaginare con che cura ho tenuto quel tubicino, quasi fosse un tesoro.
Si sono fatte le 20,00 e la febbre non c’è, ho riposato, mi sento un po’ meglio, voglio salutare le mie sorelle…, non posso parlare, che faccio? … faccio la videochiamata! A gesti le saluto…, le vedo più provate di me…, ma mi danno forza.
Bene! Ce la faccio! … Vorrei sentire Nanni e Mara ma…, non posso videochiamare, il bambino non può, non deve vedermi in questo stato…, gli farebbe troppo male.
“Va bè rinuncio, è meglio cosi, domani sto meglio e li chiamo”, dico a me stesso.
La notte trascorre lentamente…, vedo la luce dalla finestra, è giorno…, la febbre???
Niente, non è salita. Bene, bene.
Mi cambiano maschera, anche il flusso di aria è meno forte, sento e segni dell’altra come solchi sul viso, anche questa preme sul naso, ma fa niente, devo stare bene.
Iniziano la terapia, inseriscono la flebo, sento il medicinale scorrere nelle vene…, brucia ma va bene. Prelievi, emogas, e così via, ho le braccia distrutte, che mene frega, sto recuperando.
Oggi forse mi fanno mangiare penso e…, siiii arriva il pranzo.
Devo togliere la maschera e…, come si fa??? ho paura di non riuscire a respirare.
E…, se i valori scendono? Poi di nuovo emogas??? i polsiiiiii!!! Mi fanno male troppo male!!! Faccio segno di non voler mangiare. “Stasera”…, resto in pace a letto, immobile, con questa maschera che mi fa respirare, devo solo aspettare.
In quelle ore non ho neanche pensato, stavo semplicemente la fermo, …immobile…, fino a sera.
Arriva la cena, adesso devo mangiare, ok…, mi tiro un po’ su, gli infermieri mi aiutano, mi tolgono la maschera…, riesco a mangiare…, non ricordo di aver mangiato nulla di così buono in vita mia, quel riso e quella polpetta…, deliziosi! Neanche allo Torre del Saraceno ho mangiato così.
Una vittoria sono riuscito a mangiare, rimetto la maschera e cala la pace, ritorno in quella dimensione fatta di ricorsi, pensieri e speranza.
Alle 23,00 arriva Piedone, mi poggia una mano sulla spalla e fissandomi negli occhi mi dice: “ooo!!! Scet’t! A’ ca’ t’nia ii! Ti mando a Bosco, è uscito un posto. Sta tranquill! Vai in pneumologia in reparto, e fai tutto il percorso ok???”. Quegli occhi ancora una volta mi parlavano senza mentire e allo stesso tempo mi rassicuravano, annuisco e gli rispondo: “Come dite voi va bene”.
Tempo mezz’ora, arriva quella maledetta barella contenitiva, mi ci infilano dentro, senza maschera Cpap, però perché i ventilatori funzionano solo attaccati all’impianto.
Allora utilizzano due bombole che contemporaneamente spingono ossigeno nella mia mascherina.
Mi ritrovo io 1,92 m per 120 kg e le due bombole di ossigeno, infilato dentro a un tubo di plastica, in autoambulanza a tutta velocità verso l’Ospedale di Boscoreale.
Alle 24,00 ero a letto, al terzo piano, collegato a un ventilatore ancora più spaziale di quello di prima, un po’ più sereno e con tutta la voglia di superare tutto

Sono a Bosco, in una stanza classica di ospedale, siamo in due, accanto a me un uomo di 70 anni anche lui in ventilazione forzata…. Arrivano i Ghostbusters (dottori), una dottoressa con degli occhi bellissimi mi dice di stare tranquillo, mi accarezza la fronte…, un contatto umano…, da quanto…, ne avevo bisogno.
Tempo 10 minuti riparte tutto, collegamenti con quei cazzo di fili, prelievi, pressione, saturazione ecc ecc..
Mi infilano una nuova maschera, questa pompa, pompa maledettamente!
Se non chiudo le labbra mi gonfia le guance come se stessi in moto con lo bacca aperta.
Mi tranquillizzo e rientro in quella dimensione di ricordi pensieri e speranza.
Per i malati di Covid non esiste il tempo, la notte e il giorno sembrano fondersi in un unico e continuo ripetersi di eventi, controlli, terapie, ecc ecc.
Alle 4,00 ritornano con la terapia endovenosa, poi misurazione pressione, poi la saturazione, poi la regolarità cardiaca, arrivano le 8,00 c’è la colazione.
Alle 8,30 le visite dei primi dottori.
Alle 9,00 penso: “forse adesso riesco a riposare”.
Noooo, arriva non so chi che da dentro quella tuta bianca mi dice:”e…, che vuoi fare stare comodo? Qui funziona così, per almeno due ore devi stare a pancia sotto”.
Mi girano sempre con quei cazzo di fili e tubi, con la flebo fissa al braccio, l’altro collegato alla macchina, “ma ho la maschera! come poggio la faccio sul cuscino?”.
Quasi mi avessero letto ne pensiero mi sento rispondere: “Lo fai, lo fai!”.
La sento premere ancora di più sul viso, mio Dio penso “e… come passano due ore?”.
E…proprio mentre ti chiedi questo, dopo soli due minuti a pancia sotto, inizi a sentire ad ogni respiro l’aria che ti strofina dietro la schiena come carta abrasiva su un pezzo di legno…, la senti penetrare con violenza in quella parte dei polmoni che forse non stavi usando… “Dio che male! Che cazzo di dolore!”
In quel momento penso e dico a me stesso: “se vuoi andare a casa, deve andare così e va bene così.”
Passano le due ore, ritorna il trio totat white, si cambia.
Anzi si mangia, finalmente un po’ di pace.
Ma che, un ora e ritornano, “adesso facciamo 4 ore a pancia in giu”.
“Noooooo!!!!”
Ma le cose migliorano, sto iniziando a comprendere i dati dei monitor.
“Ok 4 ore, va bene”.
Cambiamo l’intensità della ventilazione e…. giù a pancia sotto fino alle 18,00.
Tornano per la terapia endovenosa, emogass, mmmmmm che dolore!
Si cena, che gioia! Mi lasciano tranquillo un paio di ore.
Li sento arrivare, “Bene prepariamoci per la notte!” esclama uno di loro.
“E mo’ camma fa?” mi chiedo “Si dorme a pancia sotto??? Noooooo,… la maschera…, mmmm…, ho il naso viola!”.
Ma mi tocca, penso, tanto alle 4,00 si riparte o forse oggi no.
Si riparte, si riparte!
All’arrivo dei dottori mi sento meglio, molto meglio, tanto da trovare il coraggio di chiedere cosa dovrò fare l’indomani e quali siano i tempi, la cura, le terapie, che dovrò ancora affrontare.
Mi rispondono di non correre, un passo alla volta, mi dicono che sono un bravo paziente, e che giorno dopo giorno si deciderà il da farsi in base ai miglioramenti.
“Ok! Lo sento! Sono fuori! Mi devo solo impegnare.”
Secondo, terzo, quarto giorno miglioro sempre più, sto bene, mi sento bene, vorrei andare in bagno autonomamente, a ora di pranzo ci provo, quando mi liberano dalla maschera.
Arriva l’ora di pranzo, mi siedo sul letto, poggio i piedi a terra, mi do una spinta per tirarmi su e…, dove voglio andare, non ho forze, i muscoli della gambe sembrano essersi sciolti come neve al sole, non li vedo “mamma mia!”.
Ripeto a me stesso quello che mi avevano detto i medici pochi giorni fa: “Non correre! Un passo alla volta!”
Ci riprovo, aiutandomi con le braccia, riesco ad mettermi in piedi, e poi…, tutto così un piccolo passo alla volta fino a casa da Nanni, Mara, dalle mie sorelle, dalla mia famiglia.

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Di desk

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